Con il cosiddetto Decreto del Fare, emanato nel 2013, il governo si era imposto di bloccare un fenomeno dilagante, spesso derivante dal grande ammontare di debito contratto da soggetti che avevano acquistato la casa con un mutuo. Il mancato pagamento di cartelle esattoriali, infatti, aveva generato prima della promulgazione di questa legge un’incredibile numero di espropri, anche per cifre molto piccole. Per combattere questo fenomeno, la legge stabilì che la prima casa non poteva essere pignorata per il mancato pagamento di cartelle esattoriali di natura statale. Ci riferiamo, soprattutto, alle procedure di Equitalia, che tanto hanno interessato la popolazione negli anni passati. La legge mirava, quindi, a tutelare parzialmente chi aveva contratto un debito, permettendogli di mantenere la sua abitazione primaria e di ricominciare con onestà e ottimi presupposti l’azione di raccogliere il denaro da elargire ai soggetti debitori.
Attenzione, il provvedimento ha interessato solamente certe tipologie di debito, in quanto lo Stato non ha potuto fermare l’esproprio della prima casa eseguito dalle banche e dagli altri istituti che avevano contratto un rapporto di insolvenza da parte di un debitore. Tale rapporto si era infatti tradotto, e si traduce tuttora, nell’esproprio della prima casa in seguito al mancato pagamento delle rate del mutuo e quindi non può essere salvaguardato dalla legislatura.
La domanda sorge ora spontanea, in quanto il nostro mercato immobiliare vede un’offerta che supera in modo incredibilmente incisivo la relativa domanda. In altri termini, ci sono molte più case in vendita rispetto ai possibili compratori e questo aspetto contribuisce a saturare un mercato già in crisi. Una risposta potrebbe venire da modello americano e canadese, ovvero dall’applicazione del cosiddetto Homestead Exemptions, secondo il quale la casa può essere pignorata solo in caso di iscrizione volontaria ad ipoteca e se supera un determinato valore di mercato.