Cominciamo con il ricordare che i paradisi fiscali, chiamati anche centri offshore o tax havens, sono un insieme molto vario e diversificato di giurisdizioni che forniscono ai clienti la possibilità di sfruttare aliquote fiscali molto basse o tendenti allo zero, che offrono opacità finanziaria e societaria e frappongono ostacoli alla collaborazione internazionale in campo fiscale.
Tali “invidiabili” caratteristiche rendono i paradisi fiscali il luogo ideale per nascondere i capitali alle autorità del proprio paese mantenendo l’anonimato. Le autorità finanziarie dei paradisi fiscali, infatti, non sono tenute ad accertare né la provenienza del denaro, né l’effettiva identità di chi lo versa. Quanto basta per renderli lo strumento utile per eterogenei fini…
Per quanto concerne più nel dettaglio i requisiti dei paradisi fiscali, l’Ocse ne indica principalmente quattro. Il primo è la mancanza di “vere” imposte: il livello impositivo sui flussi finanziari o sulle attività mobili deve risultare nullo o meramente simbolico. Si tratta di norma di regimi fiscali che prediligono l’esenzione totale dei redditi delle persone fisiche e giuridiche ivi residenti.
Il secondo requisito è la mancanza di effettivo scambio di informazioni con i Paesi “a fiscalità ordinaria”: la normativa interna dello Stato estero prevede solitamente severe regole di segretezza finalizzate a nascondere le attività economiche agli occhi delle autorità fiscali straniere.
Il terzo requisito è la mancanza di trasparenza: i paradisi fiscali sono di norma Paesi privi di meccanismi di controllo sui flussi finanziari. Infine, il quarto requisito è la mancanza di reale attività economica: viene pertanto facilitato lo stabilimento di entità detenute da soggetti stranieri senza la necessità di una presenza effettiva sul territorio.